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Letteratura Ercole Capuozzo 04 febbraio 2006 00:47 Circa 2 minuti per leggerlo stampa
Così alcuni sociologi. Hanno ragione? Penso proprio di si.
Oggi, tutti amano parlare. Ognuno si bea del proprio dire. E non importa quel che si dice, come si dice e che l'interlocutore non solo non interloquisca, ma nemmeno ascolti, e sta lì solo perché non ha il coraggio di andarsene e aspetta una pausa per farlo.
Il suo silenzio è parlante. Sì, perché il silenzio è un linguaggio. A seconda del contesto, esso indica un particolare stato d'animo: insofferenza, indifferenza, paura, disprezzo, sorpresa, assenso, sopportazione, timidezza, ignoranza, arroganza, ammirazione, ostilità, e altro ancora. <br>Inoltre, è il silenzio che ci salva dai tanti messaggi da cui siamo investiti, ed è esso che rende possibile il dialogo. Infatti, se insieme all'altro parlo anch'io, che dialogo è? Ma il silenzio richiede ascolto. E tale cosa, non è tanto di moda. Così, il venir meno del silenzio, che alcuni imputano al proliferare dei mezzi di comunicazione di massa, sta rendendo molto esile nell'uomo la capacità di ascolto.
E ciò è assai grave perchè non solo non si ascolta l'altro, cosa molto importante per lo sviluppo del pensiero critico e della riflessione, ma perché sta venendo meno anche quell' ascolto interiore che ci avvicina a noi stessi, all'intimo della nostra coscienza, al divino. (La preghiera, dice Kierkegaard, è soprattutto ascolto interiore). Perciò, impariamo ad ascoltare.
L'ascolto è uno strumento conoscitivo di grande importanza. E contribuisce a farci realizzare quell'apertura agli altri che, con tanto amore, predicava Hölderlin nei suoi versi. Nella comunicazione, infine, il silenzio aiuta anche ad acquisire chiarezza comunicativa ed espressiva. E non è poco.
E poi è bello, ogni tanto, specialmente oggi, in cui sul suono prevale il rumore, sentire la sua voce.
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