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Lettere al direttore Redazione 08 gennaio 2020 15:34 Circa 6 minuti per leggerlo stampa
Riflessioni ad alta voce sul dramma inconscio di uno Stato che lamenta la fuga dei cervelli che si lascia scappare.
Il tema della fuga di cervelli, a livello istituzionale, assume i tratti, quanto meno retorici, dell’emergenza vera e propria. Nel 2019, con il decreto cosiddetto “crescita”, sono stati introdotti sgravi e incentivi fiscali per chi sceglie di tornare a lavorare in Italia e l’ex Ministro Fieramonti si è battuto, fino a giungere alle proprie dimissioni, con il “patto per la ricerca”, per dare un futuro nazionale a tanti giovani che, scegliendo l’estero dopo gli studi, svuotano di genio e introiti economici il bel paese. Ma, a me, non ha mai convinto la storia dei cervelli in fuga. Ho sempre reputato l’insoddisfazione parte integrante dell’indole italica, seconda solo alla nostra capacità generico-media di parteciparla al prossimo. Inoltre, ho sempre pensato che la Costituzione, nel tutelare il lavoro italiano all’estero e nel voler sottolineare una libertà tanto scontata quale la libertà di emigrare, tutto sommato, suggerisce che l’andar via sia una buona opzione. Infine, se l’immagine dell’italiano all’estero è, urbi et orbi, caricaturata come buffa e truffaldina, chi sceglie di emigrare non deve essere certo uno stinco di santo. E allora, che emigrino pure!
Poi, un giorno, è andato via Antonio. Una cometa di riferimento, per me e per gli amici. Un ingegnere aerospaziale cum laude e molto più, una di quelle persone la cui mente geniale non può che essere oggetto di sana e amichevole invidia. Sottopagato con un contratto a tempo indeterminato da una di quelle grandi aziende che in sede di finanziamento appartengono allo Stato ma che invocano il diritto privato nei rapporti con i dipendenti, dopo un po’ di tempo trascorso con la speranza annuale che la sua vita potesse essere goduta a tempo indeterminato, risiede oggi nei dintorni di Zurigo, in una graziosa casetta arredata con tipica melancolia nazionale, ed è capo progetto presso una grande azienda svizzera, molto più all’avanguardia della paritetica nostrana che lo sfruttava. Migliore in termini di fatturato, con maggiori investimenti internazionali, certamente, con più sapiente capacità di gestione della risorsa umana a disposizione. Il caso di Antonio è stato un indizio per me, mi spingeva a pensare che forse avrei dovuto rivedere le mie opinioni sui cervelli in fuga, tuttavia, non è stato sufficiente a farmi cambiare idea a riguardo. Null’altro che un’eccezione per la regola.
Ma dopo è accaduto a Rosa. Una cara amica, con la forza di una meteora, la cui metodicità nello studio e la cui dedizione al lavoro sono eguagliate solo dalla sua capacità di stringere legami sociali. Doti già rare di per sé, uniche se messe tutte insieme. Dopo anni di ballerina ricerca tra università senza fondi e centri di ricerca senza futuro, ha comprato un biglietto di sola andata per gli Stati Uniti e, dopo qualche anno, per la Gran Bretagna. Domani chissà. Così, al primo indizio se n’è aggiunto un altro altrettanto valido. Le mie convinzioni hanno iniziato a vacillare di fronte all’evidenza di amici, per me concreti riferimenti, la cui meritata realizzazione professionale ha previsto un esodo.
Infine, in questi giorni, è successo a Samantha. Lodare le doti di Samantha sarebbe un inutile parossismo, così come raccontarvela. La sua notorietà supera quella di tanti VIP contemporanei e il suo nome è già il suo curriculum. È stata studiosa e oggetto di studio, non in laboratorio normale, ma nello spazio. Anche se i viaggi spaziali non sono il mio forte, va detto che qui si parla di un astro di luce propria. Astronauta, prima del suo corso di studi, sciabola d'onore, Cavaliere e Commendatore della Repubblica, digitando Cristo su Google è suggerita subito dopo il Cristo velato e subito prima di Cristoforo Colombo, Mattel le ha dedicato una Barbie, l'ESA un asteroide.
Così, Samantha è stata una conferma, la conferma eclatante che la questione della fuga dei cervelli è concreta realtà.
Si noti che i tre casi, da me indirettamente vissuti e qui citati, mostrano che lo Stato, che vorrebbe trattenere i giovani nelle aziende nostrane, non è neppure in grado di trattenerli tra le maglie delle proprie imprese o, peggio, delle proprie istituzioni. La notizia dell’esodo di Cristoforetti dall’Aeronautica Militare, accolta come curioso gossip dai più, mostra a mio avviso un inquietante scenario, nel quale non solo lo Stato italiano non riesce a frenare l’emergenza prospettata, ma è parte delle cause. Ci si chiede allora, pur riconoscendo la bontà delle leggi e delle proposte finora fatte per arginare il fenomeno, se l’approccio alla questione debba continuare a essere palliativo o vada improntato in modo del tutto rivoluzionario. Anche ad uno sprovveduto come me, pare ovvia la seconda opzione, perché è lampante che il sistema di lavoro di questo sistema paese non riesce a far proprie le proprie virtù. "Con virtù verso le stelle" recita il motto dell'Aeronautica, eppure Samantha, possibile e probabile élite della dirigenza pubblica, non ha trovato soddisfazione tra le istituzioni statali. E non si consideri il caso Cristoforetti un caso unico, le statistiche sugli esodi dalle Forze Armate sono allarmanti, nonostante non tengano conto del sommerso, cioè di coloro che provano ad andar via senza riuscirci. Nella stessa giornata di Cristoforetti, si è congedato un altro suo collega, non meno bravo, solo meno famoso. Inoltre, a proposito di statistiche, meglio tralasciare qui quella sul numero dei suicidi nelle Forze Armate, che sola meriterebbe un trattato a parte. Addestrati a decidere ma premiati per ubbidire. Motivati a distinguersi ma ordinati di omologarsi. Formati per qualità ma impiegati come numero. In un mondo dove la responsabilità e il riconoscimento seguono la meritocrazia solo a parità di giorni di servizio, la virtù, seppur alle stelle, non può far altro che cercare sfogo altrove oppure tingere il proprio orizzonte di malessere, insoddisfazione e inefficienza.
Non so se Samantha condividerà o meno le mie parole, ma spero non se la prenda se ho utilizzato il suo caso come paradigma di un sentire comune. Si spera, con forti dubbi che accada, il suo caso, pari a migliaia di casi nella pubblica amministrazione ma più clamoroso, porti in Italia a una seria riflessione sulle dinamiche socio-lavorative pubbliche e sul concetto di merito. E non se la prendano gli amici aviatori né i loro colleghi con le stelle. Loro, più degli altri, dovrebbero comprendere l’importanza dell’orizzonte. E loro, più di tutti, dovrebbero capire che il tempo speso per questa critica non è un attacco, ma un atto di bontà, perché è il tempo dedicato per la propria rosa che rende la rosa così importante.
Antonio Marchisi
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