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Cronaca Redazione 13 febbraio 2015 23:32 Circa 5 minuti per leggerlo stampa
Tre donne senza nome
La prima. Lungo la strada Ponte dei Cani che congiunge Marigliano ad Acerra in provincia di Napoli. Tra campi di cavolfiori e patate, con alle spalle i binari della linea Cancello Torre Annunziata, senza più treni e senza più fili, tra grossi trattori che arano i campi condotti da improbabili contadini indifferenti a quello che si svolge intorno, tra erbaccia ai fianchi della strada, svettano alcune prostitute di colore, appariscenti e sfacciate ai margini della via e della vita.
C’è, tra di loro, una prostituta nel suo abbigliamento standard, a pezzi, di colori diversi, sintetico, aderente, sgargiante, ridicolo. Vado con la mia auto diretto alla via Appia.
Da lontano lei vede l’auto procedere e si fa avanti mettendosi sulla carreggiata, sbracciando e lanciando baci, verso un suo potenziale cliente, poi nell’avvicinarsi dell’auto vede, si accorge della suora settantenne che è a bordo al mio fianco, subito abbassa gli occhi e le braccia che adesso tiene penzoloni lungo il corpo, fa due passi indietro verso il tappeto di malerba sul ciglio della strada, e resta così col volto rivolto a terra quasi sgomenta, manifestando un pudore ed una vergogna rara a trovarsi.
Mi accorgo così che la sua faccia tosta è solo una maschera, uno strumento di lavoro che deve fingere durezza e cinismo, ma sotto quella maschera c’è il volto vero, quello che è emerso in quella marcia indietro del corpo, nella vergogna dello sguardo abbassato, nella postura piena di dignità.
La faccia da prostituta basta per sopravvivere, ma il volto reale emerge nella verità della vita ed il suo volto vero è quello del pudore.
La seconda prostituta la incontro in circumvesuviana, sale in treno nella stazione di Nola, ha jeans ed abbigliamento normali, ma tre monelli la riconoscono. I tre ragazzetti stupidi, la dileggiano, le si avvicinano per toccarla ed ingiuriarla, le ridono addosso, ma lei ha portato con sé un rametto di nocciolo, lungo e flessibile, che usa a mo’ di frusta per allontanare, scacciare i molestatori; lo fa con naturalezza quasi fosse abituata. Già, è uscita da casa con quell’oggetto, proprio perché sa che farà incontri di questo genere; sa che può essere riconosciuta; prevede che la sua dignità può essere ulteriormente schiacciata e si equipaggia. Era una di quelle prostitute di colore che si collocavano sulla strada della polveriera tra Scisciano e Saviano, dopo il cavalcavia dell’autostrada e prima di un campo di noccioli, tra cumuli di immondizie, sedute su lacere poltroncine d’ufficio abbandonate.
Lo riconosco subito il legno di nocciolo, da bambini costruivamo, con il suo legno flessibile ed elastico, degli archi e poi con il filo di ferro la corda e con i rametti sottili di nocciolo le frecce, tutto per i nostri giochi. Il gioco della prostituta è amaro e ben più violento, le frecce scoccate dai clienti trafiggono l’anima, lasciando ferite lente a guarire.
La terza prostituta è nella vecchia metropolitana di Napoli, è molto bella, si sta recando sul luogo di lavoro o vi fa ritorno, ha gli occhi abbassati temendo che qualcuno nel vagone la possa riconoscere, è seduta accanto a me, è formosa ed ha delle labbra carnose bellissime che tutto il silicone del mondo non potrà mai eguagliare. La riconosco dalla gonna di raso rossa sotto un giubbotto anonimo ed una grossa borsa da donna nella quale avrà tutto l’occorrente per trasformarsi sulla strada dove ha il suo commercio, dove però quello che vende è il suo corpo e la sua vita. La riconosco dallo sguardo costantemente abbassato per non incrociare altri sguardi, per non essere identificata. La immagino nel suo paese d’origine con quella bocca meravigliosa schioccare bacetti ai suoi figlioli, sgridare il suo manipolo di bambini per il troppo chiasso mentre cucina, lamentarsi con il marito perché è tornato tardi dal lavoro. Già, fantasie di sognatori; ma perché non si può concretizzare il bene, e non essere soffocati dal male?
Forse fugge da una squallida periferia suburbana di una grande città africana, per andare sulle strade cattive, sui posti di una sessualità cruenta e comprata a buon mercato.
Tre donne senza nome e senza storia, solo tre corpi e tre volti, carne da macello. Incontri tra sorrisi beffardi, negoziazioni verbali corte e volgari, prestazione e prezzo, cliente dall’auto e loro sul ciglio erboso degli stradoni di campagna. Destinate inesorabilmente all’epatite virale, vite tra antibiotici e pasti scadenti, dormire, mangiare e poi sulla strada, in una alienante sequenza, in una terrificante turnazione a cui spesso pone fine solo un tumore al fegato ed all’utero o una setticemia. Non giudicare certo, né loro né chi va con loro; non condannare. Ma comunque occorre dire e fare qualcosa, lo sfruttamento delle persone non deve passare inosservato, ma bisogna interromperlo e restituirle alla vita. Quello di queste tre donne viene chiamato “il mestiere più antico del mondo” con ironia mista ad uno sbagliato senso concreto della realtà; e se anche fosse il più vecchio mestiere, certamente non è il più necessario.
Necessario è che finisca questo mercato feroce del corpo, per queste donne che perdono dopo ogni rapporto un po’ di se stesse e dopo alcuni anni sono irriconoscibili a se stesse ed agli altri.
Amare concretamente, costantemente, nel quotidiano è il solo mestiere indispensabile nella vita. Lo è da sempre e lo sarà sempre, e lo è per tutti, anche per te che leggi e per me che scrivo queste parole.
“La sessualità è una componente fondamentale della personalità un suo modo di essere di manifestarsi, di comunicare con gli altri, di sentire, di esprimere e di vivere l'amore umano”
Per amare quindi occorre innanzitutto orientare al bene la propria sessualità, disciplinarla e valorizzarla, canalizzare la sua energia e la sua vitalità, nella fecondità e chiarezza delle relazioni, poiché realizzare una sessualità integrata nella personalità, conquistando la maturità affettiva, significa realizzare la propria vita.
Vincenzo Pizza
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