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Cronaca Loredana Monda 20 luglio 2011 23:25 Circa 5 minuti per leggerlo stampa
Salvatore Parolisi, 32 anni, vedovo di Melania Rea, la donna originaria di Somma Vesuviana trovata morta il 20 aprile scorso nel bosco di Ripa di Civitella nel Teramano, è in carcere. Su di lui pendono le accuse pesantissime d’omicidio e di vilipendio di cadavere, con le aggravanti d’aver agito con particolare crudeltà, nonché ai danni della consorte.
Per l’ordinamento giuridico italiano, che accoglie un principio di presunzione d’innocenza fino alla conclusione del terzo grado di giudizio, la posizione dell’uomo deve essere valutata con cautela.
Salvatore Parolisi, che si sta avvalendo della facoltà di non rispondere, è stato, tuttavia, arrestato sulla scorta di un’ordinanza di custodia cautelare emessa da un gip di Ascoli Piceno, dopo una richiesta avanzata dal pm Monti.
Il pubblico ministero ha fatto pervenire al giudice per le indagini preliminari una richiesta di applicazione di misure cautelari datata 14 luglio. Nero su bianco, in ben settantotto pagine (corredate di varie documentazioni), le ragioni a fondamento della medesima, con l’indicazione di un’ipotesi d’inquinamento delle prove e di reiterazione di una condotta violenta - soprattutto a carico di familiari e amici di Melania Rea, di fronte ad eventuali contraddittori dall’esito non concorde tra le parti - di Salvatore Parolisi.
Dagli atti prodotti dal magistrato si evince una serrata e accurata attività d’indagine da parte dei carabinieri, fondata sia su accertamenti di natura tradizione, sia scientifici e tecnici, che avrebbero consentito di mettere insieme una serie di elementi, tutti concordanti tra loro, secondo cui Melania Rea potrebbe non essere mai passata per Colle San Marco, trovando invece la morte a Ripe di Civitella, più o meno tra le 14 e 30 e le 15 e 30. Il suo cellulare, ritrovato accanto al cadavere, avrebbe intercettato solo celle di Ripe di Civitella. Nessuno dei 52 testimoni ascoltati avrebbe notato la donna a Colle San Marco, nonostante la sua indiscussa prestanza fisica. In nessun filmato o fotografia comparirebbero a Colle San Marco, la donna, il marito e la loro bambina in quell’arco temporale.
Testimoni avrebbero visto solo il suo coniuge, dopo le 15 e 30. Collimerebbero le dichiarazioni rese ai carabinieri dalla madre delle donna, da alcuni vicini di casa e dallo stesso marito inerenti le ore antecedenti alla scomparsa. Insomma, Melania Rea sarebbe stata dal medico (ascoltato) e sarebbe rientrata prima delle 13 e 30 a casa. Avrebbe pranzato con latte e una piadina. Sarebbe stata in bagno. Sarebbe uscita di casa, con marito e figlia, poco dopo le 14. Sia l’esito delle autopsie, sia le dichiarazioni della madre delle donna, nonché tabulati telefonici confermerebbero gli orari delle azioni, l’assunzione di quegli alimenti, un passaggio per il bagno di casa prima di uscire (per i medici legali, la sua vescica era vuota). Gli accertamenti medico - legali dicono che la donna è stata colpita ripetutamente con un’arma da taglio e punta, più volte alle spalle dopo un tentativo di sgozzamento e un tentativo di fuga di pochi metri. Solo uno dei colpi (tutti sferrati nello stesso modo, dall’alto verso in basso, verosimilmente da un soggetto destrimano) sarebbe stato più forte.
Altri fendenti sarebbero stati sferrati con la donna già a terra, incapace di reagire. Melania Rea è morta - secondo le due autopsie eseguite - per emorragia 10/15 minuti dopo l‘aggressione. Questo lascerebbe presumere che il suo assassino sia allontanato mentre la donna era agonizzante. Nessuno strappo su calze, mutandine e pantaloni abbassati (per gli inquirenti volontariamente), nessuna sbavatura al trucco, rimasto intatto. Questi ultimi dati, associati ad un’aggressione iniziata di spalle, lascerebbero ipotizzare la donna conoscesse l’aggressore e si fidasse di lui. Sul corpo della Rea solo un profilo genetico su labbra e arcata dentaria, appartenente al marito Salvatore, che, per gli inquirenti, sarebbe stato lasciato dopo il pranzo, altrimenti sarebbe stato fisiologicamente eliminato. Un profilo di donna isolato, invece, a partire da tracce trovate sotto l’unghia di un indice della Rea.
Per gli inquirenti, l’assassino sarebbe il marito, aiutato forse da persone da identificare solo e durante l’inflizione di ferite “post mortem“, per ragioni di depistaggio delle indagine, poche ore prime del ritrovamento del cadavere.
A pesare, sarebbe stata la condotta di Parolisi, che avrebbe più volte mentito non solo sulle sue relazioni extraconiugali, prima, durante e dopo, il ritrovamento del cadavere della moglie, che invece di partecipare alle ricerche avrebbe trascorso molte ore in caserma, che telefonato ripetutamente all’amante Ludovica anche in momenti cruciali, che avrebbe chiesto (ottenendolo) all’amante la rimozione dei loro profili Face book. Con Ludovica avrebbe avuto contatti telefonici: entrambi avrebbero utilizzato telefoni pubblici (lui è stato intercettato, ad esempio, da Frattamaggiore, Crispano e Sant’Anastasia) e prestati. Per gli inquirenti - che con una rogatoria internazionale hanno avuto accesso ai profili cancellati di Fb dei due amanti acquisendo vari messaggi, che hanno intercettato Salvatore mentre parlava da solo in auto e che hanno messo le mani sugli sms tra lui e Ludovica - insomma, il movente sarebbe da ricercare proprio in quella relazione extraconiugale.
Stando a quanto scritto dal pubblico ministero, Parolisi si sarebbe sentito in trappola, perché da un lato avrebbe asserito con Ludovica d’aver parlato con la moglie, d’aver trovato un accorso con lei e d’essere in procinto di lasciarla, dall’altra non avrebbe detto niente a Melania e si sarebbe apprestato a partire alla volta di Somma Vesuviana. Per il pm, in sostanza, le vacanze di Pasqua avrebbero dovuto fungere da chiave di volta. L’uomo sarebbe stato costretto a scegliere tra una permanenza ad Amalfi (dove per il 23 e il 24 aprile il padre di Ludovica aveva prenotato per lui una stanza) con amata e genitori di lei, nonché un tranquillo e consueto periodo di feste in famiglia.
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