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Cronaca Redazione 23 aprile 2011 18:25 Circa 5 minuti per leggerlo stampa
Cara Mariglianella, amica e madre mia, che mi hai visto nascere e crescere, fonte di gioia e di dolori, ti scrivo per farti gli auguri di una Santa e Serena Pasqua. Possa tu risorgere insieme al Cristo Redentore, ed unire i nostri cuori al suono delle campane in festa. Auguri a te, al nostro parroco don Ginetto De Simone, agli amministratori, ai giovani, ai voltagabbana, ai nuovi e vecchi residenti.
Tu che sai tutto di tutti noi, sai quanto ti sono affezionato e cosa farei per vederti gioiosa, sorridente e migliore di come sei. Anch’io so qualcosa di te: so quando eri piccola e bella, con una chiesa, una scuola, quattro vie, un incrocio per piazza, una campagna fertile, piena di grano, tanta aria pulita e l’orologio sulla torre in via Materdomini che scandiva le ore. Eri un paesino tascabile, un gioiellino di umanità, con gente semplice e poche case. Eravamo orgogliosi di farne parte, poco più di tremila anime, che a Pasqua ne diventavano una soltanto.
Adesso sei cambiata, non ti riconosco più. Sembri un totem di cemento, una somma di case e di letti per dormire, ma rimani sempre la mia amica. Non ti rinnegherò mai. Non sarò certamente io l’apostolo Giuda dell’ultima cena di Gesù.
Non sono trasformista e traditore, anche se a volte mi hai deluso e poco ricambiato, non ti ho mai rinnegato. So che non è colpa tua, perché sono cambiati i tempi, la politica, gli stili di vita, gli interessi, la concezione dell’amicizia. Ma i valori sono sempre gli stessi. Mi consola il fatto però che io, te, tanti amici e brava gente, grazie a Dio, ci siamo ancora e il rancore, l’invidia e la maldicenza sono lontani da noi, lontano dalla Pasqua dell’amore e delle tradizioni.
Ricordo anni fa, quando, da bambino, alla scuola elementare, con il grembiulino blu, il colletto bianco e il nastrino colorato, in fila per due e in silenzio, si andava in chiesa, per il precetto pasquale, con i maestri Sodano, Buglione, Corbisiero, De Fazio, e Checchina Tramontano. Che bravi maestri! Che scuola! Quanti sogni, quanta speranza e una vita davanti. La Via Crucis del Venerdì Santo, con la statua di Gesù morto portata a spalla dai fedeli, l’intero paese in processione raccolto in preghiera, con il senso del perdono, sono rimasti impressi nell’animo e nella memoria.Al passare della processione i balconi erano addobbati con coperte, lenzuola e ceri accesi. Alla messa di mezzanotte del Sabato Santo, la chiesa era stracolma di fedeli e il rintocco delle campane annunciava la Resurrezione del Cristo, suscitando emozioni, speranze, fede e rafforzando l’amore per il prossimo. Nella chiesa veniva esposta anche la statua del Santo protettore San Giovanni Evangelista, un Santo amato e venerato dalla popolazione. Il prete, al lume di candela, ai piedi dell’altare, celebrava la messa in latino e si voltava soltanto per il “Dominus vobiscum” e tutti noi a rispondere “et cum spiritu tuo”. Ma la domenica di Pasqua, era una giornata speciale. La festa di tutti.
Che domenica, quella domenica. Certo c’era la miseria, la vita era dura, nelle case non c’era la televisione, eppure si sfilava in ghingheri per le vie del paese, le ragazze con il vestitino nuovo, i ragazzi in pantaloncini, gli uomini a braccetto con le mogli, felici e sorridenti. Professionisti, operai, contadini, giovani, amici, “figli dei signori”, tutti in piazza a scambiarsi gli auguri, con gli alberi in fiore e le rondini sui tetti. Questioni politiche, interessi, affetti non sconfinavano, non si confondevano con la fede religiosa. Abbracci, baci, e strette di mano a più non posso e tanto rispetto da tutti per tutti, mentre squadre di battenti, vestiti di bianco con la fascia rossa, raccoglievano le offerte da portare il lunedì in Albis al santuario di Madonna dell’Arco. Era la Pasqua dell’amore, preceduta da una settimana di passione, una giornata che sembrava condita con germogli di vitalità, tra il via vai in cucina, tra pastiera e casatiello, la mamma che serviva e preparava la tavola con la tovaglia ricamata, con al centro una grande pezzo di pane e una bottiglia di vino d’annata, nel ritrovato candore domestico.
Quanto era buono quel pane impastato dalle mani delle nostre mamme, uscito dai forni nei cortili che si conservava per lungo tempo ed era sempre fresco. Era come quello di Gesù sul monte nella moltiplicazione dei pani e dei pesci. Il pomeriggio del dopo pranzo era gioia, canzoni ed allegria, ci si ritrovava tutti nello spiazzale del cortile a ballare e suonare con tammorra e nacchere. Ci si divertiva e socializzava.
Tu Mariglianella, con la tua saggezza e la fede in Cristo, mettevi insieme i valori della festa, con quelli della vita, della natura, condividendo le nostre speranze e il nostro amore per la terra. Adesso che invece metti insieme solo case su case, palazzo su palazzo, interessi su interessi, ipocrisia e disvalori, incertezze e delusioni, esci dall’angustia che ti opprime, riabbraccia la tradizione della Pasqua. Fai diventare il tuo cuore un luogo di amicizia e fraternità.
Tu sei buona, hai un animo nobile e sensibile, esprimi fiducia. Fa' che la “vecchia” Pasqua con i suoi valori si adegui ai tempi dell’i-phone e dell’ipad. Risorgi anche tu e compi un miracolo. Uno soltanto: bonifica il territorio, facci respirare aria salubre, liberaci dalla delinquenza organizzata, regala ai ragazzi un campo di calcio e una prospettiva di certezza per i senza lavoro. Fai in modo che la concordia, l’armonia, l’amicizia e la tolleranza, prevalgono sulle offese, sull’invidia e sugli interessi di parte.
Metti i piedi per terra, ritorna nella semplicità, accogli con amore gli auguri sinceri di chi ti vuole bene. Santa e serena Pasqua a tutti.
Andrea America
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