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Cronaca Domenico Mariano Barone 25 dicembre 2010 10:21 Circa 2 minuti per leggerlo stampa
Nonostante le innumerevoli manifestazioni degli studenti, la tanto criticata riforma Gelmini è diventata una legge. Con 161 sì, 98 no e 6 astenuti, il Senato ha approvato in via definitiva il testo del ddl del Ministro dell'Istruzione . A favore hanno votato Pdl, Lega e Fli. Quest'ultima dopo i duri scontri con Berlusconi arrivati quasi al punto da riuscire a sfiduciarlo, si allinea quindi ( al Senato) sulle posizioni prevalenti nella maggioranza di cui fa parte.Secondo il Ministro la "Legge Gelmini" entrerà pienamente in funzione già dall'anno accademico 2011-2012.
"Una volta che i ragazzi conosceranno veramente il contenuto di questa rivoluzione vedranno come ci sono solo vantaggi per loro" ha dichiarato il Presidente del Consiglio difendendo a spada tratta la nuova legge "che tutto può produrre meno che cose negative per studenti", ha continuato Berlusconi. Chissà,vedremo!
In queste settimane le proteste si sono susseguite in decine di università. Agli scontri violenti avvenuti a Roma in occasione della sfiducia ( mancata) al premier e che hanno visto il coinvolgimento anche involontario di numerosi studenti, ha fatto da contraltare l'incontro avvenuto ieri con il Presidente della Repubblica, che ha ascoltato le ragioni del no alla riforma Gelmini esposte da una delegazione volta a rappresentare l'intero movimento di protesta.
Il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, si è detto favorevole e aperto ad ascoltare e vagliare"anche le ragioni di coloro che non sono favorevoli alla riforma dell’Università,e mediare se ce ne sarà bisogno ".
In sostanza la nuova legge proposta da Mariastella Gelmini, si propone di combattere gli sprechi, attraverso una diminuzione dei finanziamenti, se sperperati e instaura nuovi criteri di assunzione volti a combattere anche il fenomeno delle baronie accademiche.La maggiori contestazioni al ddl (ora trasformato in via definitiva) sono venute dagli ambienti di ricerca. I tagli limiterebbero di molto il campo d'azione e, proprio i nuovi criteri di assunzione rischierebbero di aggravare la condizione di precariato dei ricercatori. In sostanza, dopo diversi contratti a tempo determinato rinnovabili fino ad un limite di otto anni, il ricercatore in questione dovrebbe o diventare "professore associato" o rinunciare a lavorare in ambito universitario.
Quest'ultima ipotesi potrebbe generare anche un problema di "spendibilità delle competenze" acquisite in ambiti di ricerca universitari, non necessariamente analoghi a quelli delle aziende private. Le università inoltre, per mancanza di fondi, potrebbero anche scegliere di lasciare a casa i ricercatori in scadenza di contratto, assumendone di nuovi e limitando così i costi.
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