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Cronaca Redazione 20 febbraio 2009 23:32 Circa 3 minuti per leggerlo stampa
NOLA – In trasferta dall’area a nord di Napoli all’area vesuviana, per affermare la supremazia del clan Moccia, interessato a controllare gli appalti della zona nolana, anche imponendo il pizzo. Questa la linea sposata da Antonio Cennamo, cinquantacinque anni, ritenuto dagli inquirenti elemento apicale della citata organizzazione operante nell’afragolese, che, nonostante già detenuto e sottoposto al regime del carcere duro, riusciva ancora a far sentire la sua voce, a controllare le azioni dei suoi uomini. Il suo gioco non è durato, tuttavia, in esterno.
E’ stato scoperto dai carabinieri del Gruppo di Castello di Cisterna del Tenente - Colonnello Antonio Jannece. Hanno indagato i militari dell’Arma del Nucleo Investigativo agli ordini del Maggiore Fabio Cagnazzo, aiutati anche dalle dichiarazioni di pentiti. Le attività, coordinate dai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia, hanno portato ad un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal giudice per le indagini preliminari di Napoli, che è stata notificata l’altro ieri, ad Antonio Cennamo, ritenuto uno tra gli autori dell’estorsione perpetrata, tra la primavera e l’estate del 2003, ai danni di un imprenditore di San Giuseppe Vesuviano, che era impegnato nella realizzazione di capannoni industriali nella zona ASI di Nola.
L’esponente dei Moccia, era forte di un accordo con Alfonso Nino, che, con un’organizzazione in cui condivideva la leadership con Autorino (figlio di Geppino, anni fa scappato da un’aula bunker di Tribunale con Ferdinando Cesarano, latitante per qualche tempo, deceduto in un conflitto a fuoco dopo un periodo di latitanza) e Pianese, controllava la zona nolana. Cennamo era stato coinvolto nella vicenda da Nino, perché la sua vittima resistenva alle intimidazioni vantando legami con i Fabbrocino.
L’imprenditore aveva, infatti, vincoli di parentela con il cinquantatreenne Mario “maruzza” ed era stato socio in affari del sessantaseienne Mario “o’ graunaro”, indiscusso capo del clan vesuviano. In particolare, Nino aveva chiesto a Cennamo di gestire le trattative, presentandolo all’imprenditore come “fratem 'o gross”. Una mediazione affidata ad un soggetto del clan Moccia era chiaramente finalizzata ad evitare uno scontro dell’organizzazione di Nino con la più forte dei Fabbrocino.
L’ordinanza è frutto, quindi, di un’attività investigativa, che conferma l’interesse dei Moccia (più volta entrati in conflitto con il clan dei fratelli latitanti Pasquale e Salvatore) per gli affari del Nolano, esplicitato con l’azione del gruppo, suo referente, capeggiato da Marcello Di Domenico, detto “o’marciulliano”. Nelle ultime quarantotto ore, i carabinieri del Gruppo di Castello Cisterna (coadiuvati dai colleghi della Compagnia di Nola al comando del Capitano Gianluca Piasentin) hanno inflitto un colpo, non solo ai Moccia, ma anche ai Russo, loro avversari.
Nella mattinata di ieri, hanno arrestato, infatti, il trentacinquenne Sebastiano di Mario di Nola, il ventinovenne Vincenzo Giannetti di Scisciano e il cinquantunenne Stefano Marra di Nola, tutti considerati legati all’organizzazione dei fratelli latitanti Pasquale e Salvatore, tutti ritenuti responsabili, in concorso tra loro, di estorsioni e di azioni incendiarie, perpetrate con l’aggravante dell’articolo 7 della Legge 203/1991, per aver agito con metodi mafiosi e per agevolare il clan di riferimento.
I militari dell’Arma hanno eseguito i tre fermi d’indiziato di delitto (che hanno fatto finire i tre uomini a Poggioreale) nell’ambito di una più ampia attività di contrasto del fenomeno estorsivo riconducile ai clan camorristici operanti in zona. Stando a quanto accertato dagli uomini della Benemerita era stata estorta, ai titolari di una ditta di Nola, una somma iniziale di tremila euro che, a seguito di trattativa, era stata ridotta mille euro, in cambio di una tranquilla prosecuzione dell’attività lavorativa. Le vittime erano state indotte al pagamento dopo un attentato incendiario.
L.M.
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