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Cronaca Fulvio Gennari 05 ottobre 2007 00:10 Circa 5 minuti per leggerlo stampa
Anche se non è la mia occupazione principale, mi è capitato più volte di fare da
docente per corsi di formazione o seminari. In questi casi chiacchiero ("insegno" mi sembra
una parola troppo forte) di marketing e comunicazione e molto spesso mi è capitato di avere
come platea dei ragazzi di scuola superiore (17-18enni).
Credetemi, con loro
è doppiamente faticoso, ma spesso divertentissimo e non c'è niente di meglio che interagire
con i ragazzi delle nuove generazioni per capire come il mondo abbia preso a girare. Vi
racconto un episodio… sarà il nostro spunto di oggi.
Mi ritrovavo a spiegare tutti i fattori esterni che influenzano la vita di un'azienda
e tra questi citai il contesto politico-legislativo in cui l'azienda stessa opera.
Nonostante il nesso potenziale fosse molto labile ad uno dei ragazzi scappò la domanda "Che
significa essere di destra o di sinistra?". Benché si trattasse di un quesito
pericolosissimo nel rispondere al quale si rischia di essere comunque un po' faziosi,
riuscii a cavarmela spiegando 'tecnicamente' i fondamenti economici alla base delle due
ideologie.
In uno strano e irreale (per un aula scolastica!) silenzio
interessato vidi un altro dei ragazzi sorridere soddisfatto. Sinceramente, nel frangente in
cui incrociai i suoi occhi, creadetti che i suoi pensieri volgessero altrove; invece
intuendo la mia curiosità mi interruppe e disse orgoglioso "Io invece ho scelto già da un
po'! Non sono né di destra, né di sinistra, né di centro… io sono NoGlobal!". Mi fu
immediatamente chiaro che dietro quest'affermazione c'era solo un ragazzo che (con tanto di
Nike al piede e I-Pod in tascaÂ…) esprimeva solo una normalissima voglia di identificarsi con
qualcosa assai di moda.
"Noi siamo controÂ…. contro il sistema! contro chi fa
la guerra per rubare il petrolio, contro lo Stato che ci riempie di tasse, contro gli
Albanesi che fanno le rapine….". Al di là della (in)sensatezza delle sue frasi, mi colpì
molto il suo ripetere la parola 'contro', del resto anche appropriata per un fenomeno,
NoGlobal, che si definisce partendo da una negazione. Ad ogni modo per fermare quel fiume in
piena feci ricorso ad un piccolo trucco capace di sconfiggere non solo un adolescente
infervorato ma, forse, la maggior parte dei sedicenti politici all'italiana (grandi
oppositori, pessimi propositori di idee costruttive)Â…"contro questo e quello, ma a favore di
???" Mi dispiacque leggere una sorta di delusione negli occhi del piccolo oratore divenuto
di colpo muto come un pesce, ma quello che rimase più deluso fui io allorché, raccontando
questo episodio in tutt'altro contesto, mi resi conto di quanto fosse più gravemente diffusa
la non conoscenza (totale o parziale) di cosa rappresentasse in realtà quel fenomeno
socio-economico meglio noto come 'globalizzazione'. Credo valga la pena spenderci su qualche
parola.
"La globalizzazione è definibile come la tendenza alla diffusione su scala mondiale
di un modello unico di economia e di cultura". Ma che vuol dire tutto ciò?
Innanzitutto voglio sottolineare la parola "tendenza"; benché se ne parli solo da pochi anni
la globalizzazione non nasce di colpo, è un fenomeno che, probabilmente già a partire dagli
anni sessanta, ha iniziato il suo progressivo percorso e la sua diffusione sempre più
radicata nella nostra vita di tutti i giorni.
Dal punto di vista economico con globalizzazione si intende la standardizzazione di
tutti i mercati mondiali rispetto al modello occidentale nel quale è possibile la libera
circolazione di capitali finanziari, commerciali e produttivi. Le imprese operano libere da
vincoli di natura territoriale ed in funzione dei costi di produzione relativi nei diversi
paesi in modo da cercare la massimizzazione dei profitti. E' la logica delle grandi
multinazionali che producono laddove la manodopera è a costo più basso (fenomeno ormai
diffuso anche nelle aziende di medie dimensioni), pongono le proprie sedi fiscali dove
trovano maggiori agevolazioni e vendono dove i mercati sono più profittevoli.
Dal punto di vista culturale invece la globalizzazione è la tendenza ad uniformare
pensiero, gusti e stili di vita delle popolazioni del mondo. Se ciò avviene la conseguenza è
che si uniformano anche i modelli di consumo (ci piacciono e compriamo le stesse cose ad
ogni latitudine e longitudine) e per le aziende si moltiplicano a dismisura i mercati su cui
vendere i propri prodotti.
E' bello tutto ciò? E' giusto? E' sovvertibile una tale tendenza? Cercherò di farne
un'analisi oggettiva e lontana da prese di posizione di natura politica.
La globalizzazione culturale è un processo destinato a crescere sempre più, che
piaccia o meno. Tutto ciò dipende dalla forte accelerazione della tecnologia (computer,
internet, cellulari, tv satellitari) che ha creato un fitto reticolo di comunicazioni capace
di mettere in contatto il mondo intero ad una velocità inimmaginabile fino a qualche anno
fa. I modelli di marketing imposti dalle aziende leader mondiali della comunicazione
influenzano il substrato culturale delle nuove generazioni rendendole incredibilmente
omogenee. Oggi un adolescente di Tokyo ed uno di New York troverebbero molteplici punti di
contatto, solo vent'anni fa tutto ciò era inconcepibile.
Quanto alla globalizzazione economica invece qualcosa andrebbe fatto almeno per
frenare i potenziali effetti negativi. Non c'è dubbio che un liberismo così spinto abbia una
capacità non eguagliabile di produrre ricchezza, ma è anche vero che questo miracoloso
"mercato unico" non elimina (e spesso favorisce) le disparità al suo interno non avendo in
sé un meccanismo di riequilibrio sociale e delle risorse.In pratica i ricchi lo diventano
sempre più, i poveri, almeno nel breve periodo, rimangono tali. Sarebbe compito delle
giurisdizioni internazionali porre un freno, ma è poco credibile pensare che ciò accadrà .
Forse il tempo finirà per appiattire certe differenze e di conseguenza le opportunità per le
multinazionali, forse sarà sempre peggio con un nord e un sud del mondo sempre più
pronunciati.
NoGlobal dunque dovrebbe essere chi si oppone al fenomeno descritto, chi vorrebbe
nuovi modelli economici e culturali, magari diversi tra loro, ma improntati ad una maggiore
equità sociale. Veramente bello se non fosse che ad oggi c'è da parte di questi gruppi la
mancanza quasi assoluta di proposte alternative concrete ed attuabili. E non certo alla loro
causa ha fatto bene il frequente ricorso alla protesta violenta delle frange più
estreme.
La mia sensazione è che volenti o nolenti alla globalizzazione ci si debba adeguare,
anzi diciamo che inconsapevolmente quasi tutti noi sguazziamo nei suoi benefici. Nello
stesso tempo però è doveroso rispettare l'essere umano ed è necessario cominciare ad
ampliare questa cultura globale con concetti che rifiutino la ricchezza quando ottenuta
grazie allo sfruttamento. Fino a quel momento, al massimo, non potrò far altro che definirmi
un ForseGlobal.
Fulvio Gennari
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