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Cronaca Antonio Capasso 28 giugno 2010 23:41 Circa 6 minuti per leggerlo stampa
MARIGLIANO - La vicenda della Fiat di Pomigliano a mio avviso va letta non come una normale vertenza aziendale, ma come un ulteriore passaggio di un percorso strategico che punta a definire un nuovo sistema sociale finalizzato prevalentemente agli interessi imprenditoriali.
ma di chi ?
Esiste ancora una grande industria nazionale oppure, come è nella realtà, siamo di fronte ad una trasformazione dell’assetto produttivo in multinazionali che pretendono di utilizzare l’Italia esattamente come qualsiasi altro Paese in cui fare investimenti?
In questo contesto diventa funzionale creare condizioni sociali, economiche, normative, simili a quelle dei Paesi in cui è più conveniente delocalizzare la produzione.
L’altra faccia della medaglia sono le piccole e medie industrie che da sempre godono di un sistema di relazioni deregolamentate, con disapplicazione dei contratti e delle leggi. Se questi sono i referenti, che modello sociale dobbiamo aspettarci?
Sul piano economico ormai ci troviamo di fronte ad una crisi strutturale del sistema; in una fase di “liberismo decadente” avvitato su sè stesso che impone all’interno degli stessi paesi industriali i diktat ottocenteschi sul lavoro; siamo ormai alle 14/15 ore di lavoro obbligatorio, al “caporalato” nobilitato a metodo di reclutamento (vedi le proposte FIAT solo per i lavoratori “buoni” di Pomigliano), ai ricatti : o accetti questo tipo di lavoro o chiudo e me ne vado altrove !! Condizioni del tutto simili a quelle di inizio secolo scorso!!
La ventilata riforma dell’articolo 41 della Costituzione, che subordina l’interesse di impresa all’interesse sociale (Articolo 41:L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali), persegue l’obiettivo di sottrarre l’impresa alle sue responsabilità sociali e di renderla libera di rincorrere il profitto in tutti i modi possibili e con tutti gli strumenti possibili. Se finora ci si era limitati, si fa per dire, all’individuazione del referente sociale non nel lavoratore, ma nel cittadino consumatore, ora scomparsa la parola cittadino, rimane la trasformazione del patto sociale in semplice mercato, con l’impresa fuori dal controllo sociale.
la contemporaneità della vertenza Pomigliano e della riforma dell’articolo 41 è per lo meno sospetta !
La Fiat non ha chiesto incentivi per l’auto, ma mano libera sul piano sociale, con la devastazione di tutto l’impianto relazionale sul piano sia sindacale che normativo.
Dopo due anni di fermo la Fiat riscopre improvvisamente Pomigliano?
Sicuramente no, siamo di fronte ad un passaggio concordato con il Governo per spostare in avanti la libertà di profitto !
Siamo oltre la Grecia sul piano sociale e sindacale: l’uso della crisi economico-finanziaria per la ristrutturazione del modello produttivo passa da Pomigliano e porta con sé la revisione della Costituzione, di leggi, contratti, relazioni sindacali, libertà e democrazia reale.
Perché, se produrre auto in Polonia è così conveniente, la Fiat tenta di portare la Polonia da noi, riscoprendo la funzione strategica di Pomigliano, ferma da due anni, dopo aver decretato la morte di Termini Imerese?
E’ evidente che l’obiettivo è far scivolare verso il liberismo selvaggio il rapporto di lavoro, trasformando il contratto e le norme a garanzia dei lavoratori, in contratto individuale. Un semplice accordo tra le parti che non necessita di intermediazione da parte del sindacato, che diventa elemento di disturbo della relazione di lavoro.
Dopo due anni di fermo, la Fiat si ricorda che i lavoratori di Pomigliano sono dei fannulloni: ma non lo erano solo i dipendenti pubblici? Gli stessi dati della Fiat danno il 3,7% di assenze per malattia, un dato tra i più bassi del gruppo!! La denigrazione, costruita su dati falsati, ha lo scopo di isolare i lavoratori dal corpo sociale e dagli altri lavoratori, scatenando loro addosso l’esecrazione collettiva. La stessa strategia adottata con il pubblico impiego, dipinto come una massa di nullafacenti e concausa della crisi nella difesa dei propri privilegi.
la riforma della Pubblica Amministrazione, il decreto Brunetta ed i contenuti della manovra finanziaria, sono il contraltare pubblico della stessa strategia adottata nel privato.
Lo “sfoltimento” della P.A. consente il recupero di risorse per l’impresa, ma corrisponde anche alla caduta delle regole e dei controlli. Quello che rimarrà in piedi dovrà essere gestito come la Fiat di Pomigliano, senza regole, senza contratto, senza aumenti, con flessibilità totale e senza difesa sindacale. La sospensione delle garanzie contrattuali nella P.A. viene imposta per legge, non hanno bisogno di accordi sindacali, che comunque otterrebbero facilmente: un vero e proprio golpe sociale degno delle migliori dittature sudamericane. Anche in questo caso si tratta dell’ultimo atto di una strategia di lungo periodo, teorizzata prima e realizzata ora.
Il ricatto del lavoro come strumento di gestione del personale e nella P.A. il ricatto sulla corresponsione del compenso accessorio, ma non solo, svolgono la stessa funzione: sempre di ricatti si tratta! La flessibilità, spinta fino all’arbitrio dell’azienda, subordina le condizioni di vita e di lavoro alla fluttuazione del profitto e quindi al rischio di impresa.
Nella P.A. la flessibilità è subordinata ai compensi accessori, al gradimento delle prestazioni etc..; una sorta di rischio di impresa riflesso.
Il contratto viene stravolto ed azzerato, nella P.A. i contratti sono sospesi per quattro anni.
Nel frattempo nel Pubblico Impiego a 3.600.000 lavoratori, che non vengono mai consultati su niente, viene negata la possibilità di eleggere i propri rappresentanti sindacali.
Un’unica strategia di attacco allo stato di diritto ed alla democrazia nel Paese.
Per il Pubblico Impiego vengono proposti compensi individuali, legati alla produttività ed alla condizione socio- economica del territorio. Vale a dire che il valore della prestazione lavorativa non è uniforme e soprattutto non può essere contrattata da chi produce. Siamo oltre le gabbie salariali e lo svuotamento dei contratti nazionali, che forse per questo sono stati bloccati a favore di quelli territoriali; siamo al contratto ed al salario individuali, legati al rischio di impresa ed al recupero di competitività attraverso la flessibilità totale.
Questa non è democrazia liberale come Berlusconi & co. si affannano a dire!!
Qui ci troviamo di fronte allo stravolgimento totale dei diritti costituzionali elaborati dai padri fondatori!!! I padri di oggi sono obbligati a vendere i propri figli ai nuovi schiavisti del 21° secolo!!
Dr Antonio Capasso
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