Cultura

Marigliano, Giovanni Rinaldi Vescovo emerito di Acerra ricorda Franco Trifuoggi: il Preside Educatore

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MARIGLIANO – Il “Preside”: era la sua qualifica nella città. Il “Preside” per antonomasia, era lui. Il maestro sapiente, l’educatore riconosciuto e ricercato, l’uomo autentico. Ci sono persone, che per la loro professione e la qualità della loro vita, entrano nell’esistenza di ognuno di noi e nella storia di una comunità civile e religiosa. E se non le incontri, senti il bisogno di cercarle; come è capitato a me in questi mesi, in questi giorni recentissimi. Ed è sempre una ricchezza, uno stupore dell’anima. Colpivano nel Preside Trifuoggi il suo tratto mite e accogliente, la sua profonda disponibilità, la sua capacità di ascolto, la sua cortese attenzione: con lui era sempre un contatto di vita vera.

Purtroppo è venuto a mancare un maestro di sapienza e di vita, un padre e uno sposo esemplare, una mente illuminata e illuminante, un credente laico, ma non neutrale.

In tempo di emergenza educativa è urgente ritrovare i maestri educatori. Educare è sempre stato difficile, oggi, molto di più. Qualcuno dice che è la “frattura delle generazioni” a generare questa emergenza. Papa Benedetto, invece, diceva che la “frattura delle generazioni è effetto e non causa della mancata trasmissione della certezza dei valori”.

Così, la responsabilità è degli adulti!

È la cultura relativista–nichilista che spinge a rinunciare alla missione educativa degli insegnanti e dei genitori. Siamo diventati, oggi, tutti neutrali, una piega che porta a dubitare del significato stesso della verità e della bontà della vita.

LE DIMENSIONI DELL’EDUCAZIONE

– Educare è conservare la memoria del passato: ogni persona nasce “da”.

La dimensione della memoria del passato è indispensabile per leggere il presente e costruire il futuro. C’è, oggi, una diffusa perdita della memoria, della trasmissione della tradizione, un distacco dalle radici, “cultura del naufragio” come dice Papa Francesco. Sono venuti a mancare i padri di famiglia e i maestri nella scuola. Noi non possiamo imparare a raccontare a noi stessi e agli altri la propria storia se non ascoltiamo, a nostra volta. Il Preside Trifuoggi considerava la scuola come il luogo per eccellenza di questa riappropriazione del passato. Abbiamo perso il senso di essere “generati”. Il padre è stato ucciso. È l’autorità che esercita questo “essere da”. Gli animali nascono una sola volta, all’atto della generazione biologica, gli uomini nascono gradualmente con l’apporto della cultura e dell’amore. Questo consente che ci siano veri padri, veri maestri, veri sacerdoti nella famiglia, nella scuola, nella chiesa. Il Preside Trifuoggi un maestro educatore, che non ha solo insegnato, ma ha aiutato a far crescere tanti giovani. La cultura dei classici greci, latini, dei grandi italiani come Dante, Manzoni, Leopardi, Albino Pierro, ha alimentato il suo insonne magistero, che ha generato “alunni” (alere, nutrire) e non solo discepoli.

– Educare è “stare con” creando relazioni interpersonali.

Non si può essere se stessi senza gli altri. Nella nostra società si fuggono le appartenenze vincolanti: chiesa, famiglia, scuola. La nostra società che si definisce “società della comunicazione”, perché vi operano potenti mass-media, trasmette messaggi solo unidirezionali, che non sono sempre condivisi. Educare, invece, è creare relazioni interpersonali.

È merito del preside Trifuoggi aver inculcato nella sua scuola il gusto dell’appartenenza, della relazione con gli altri per creare una comunità scolastica e civile. Franco Trifuoggi ha sempre lavorato per un progetto educativo comune, intessuto di relazioni umane e non solo in vista di una carriera scolastica futura, ponendo al primo posto lo stipendio.

Questa tensione alla comunione l’ho sperimentata personalmente nei due anni del mio insegnamento al liceo scientifico di Marigliano. La “relazione” non è un optional, ma un elemento costitutivo del suo essere: “nessun uomo è un’isola”.

Solo se i singoli imparano per la riuscita di un progetto educativo comune e non solo per il proprio stipendio o carriera scolastica, allora saranno superate tante frustrazioni e la scuola non si ridurrà ad un supermarket, in cui ciascuno va a cercare quello che gli serve.

– La dimensione dell’essere per un fine grande a cui educare.

Così diceva don Milani: “occorre un fine, che sia onesto grande, che non presuppone niente altro nel ragazzo che di essere un uomo” (lettera ad una professoressa). Nella scuola si è passati da una educazione volta a comunicare precisi valori indiscutibili ad una educazione che mira a fornire all’individuo gli strumenti indispensabili del proprio progetto di felicità personale.

Da una logica dei valori ad una logica dei mezzi, delle abilità. E questa libertà è offerta anche per le scelte morali, filosofiche e religiose. Una scuola Supermarket, dove si compra quello che si vuole, ma non si compra più ciò che vale la pena per cui vivere. La stessa funzione del docente è passata dal compito di educare ai comportamenti, come maestro, al compito di garantire l’assistenza alle esigenze dei ragazzi, come consulente, intrattenitore, accompagnatore.

L’educazione ha bisogno di docenti significativi, capaci di relazioni interpersonali, fondate sull’amore.

Per Franco Trifuoggi, la scuola non è mai stata neutrale, cioè incapace di dare risposte ai giovani. Egli non ha mai confuso “Laicità” con “Neutralità”. Mettere al centro le domande dei giovani sul senso della vita è stato sempre un problema di educazione.

Problematizzare non significa arrestarci al “dubbio metodico”. Tra il dogmatismo fondamentalista e lo spirito critico metodico, la differenza sta nel metodo, ma il risultato è lo stesso: il dogmatismo dell’antidogmatismo, cioè la dittatura del relativismo.

Esiste solo la neutralità, cioè l’indifferenza verso i valori. L’insegnante ha il dovere di esplicitare i propri valori e la propria vita spiegando i percorsi fatti per conquistarli. Il preside Trifuoggi ha sempre avuto la onestà intellettuale di dichiarare in principio le proprie certezze e di metterle in discussione.

È questa apertura all’altro che garantisce la laicità e non la neutralità.

– Il Preside Trifuoggi, educatore aperto all’Assoluto.

Una società che non si pone il problema del destino, del fine, è destinata a suicidarsi e confonde la educazione con l’informazione. La libertà e la coscienza dei giovani appellano alla considerazione dei beni ultimi, universali. La vita morale è legata all’esperienza religiosa, esplicita o implicita: “Se l’esistenza di colui che è il Bene assoluto, l’Essere sussistente non è riconosciuta, nessuna certezza del valore incondizionato e obbligante delle Leggi e delle norme dell’etica può essere validamente stabilita, né diventare oggetto dell’educazione efficace” (Maritain).

Nel raffinato saggio “Poesia e fede di Albino Pierro”, poeta originario di Tursi di Matera in Basilicata, Franco Trifuoggi analizza i motivi religiosi, che sono alla base delle liriche in lingua e in dialetto tursitano, di cui “egli possiede i segreti e la chiave” come scrive P. Maffeo.

Trifuoggi nel 2004 nella sua relazione del convegno “la Madre del Signore nella letteratura italiana del ‘900” tenutosi a Foggia presso il Santuario della Incoronata, aveva suscitato un forte interesse con la relazione “Motivi Mariani in Albino Pierro”. Ma anche prima, nel 1994, egli aveva dedicato al grande lirico di Tursi il suo primo saggio “Candore e devozione in Albino Pierro”.

Con questa relazione, il Preside Trifuoggi, manifestò la profonda sintonia, divenuta poi amicizia fraterna con la sensibilità religiosa del poeta lucano. Questa affinità religiosa, che accomunava i due, era fatta di una fede vissuta senza santimonia né bigottismo, da uomini all’antica, schietti, incapaci di malizia, assetati di Bene. Una fede che trova freschezza e vigore dalla reviviscenza del fervore religioso della fanciullezza e della adolescenza, fede partecipe delle forme della devozione popolare. Fede che attinge anche accenti devoti e commossi verso Cristo, testimone benevolo delle loro sofferenze ed amarezze, verso Maria, la Madre riconciliatrice e verso i Santi. Il Preside Trifuoggi, amava e venerava profondamente S. Sebastiani, il Patrono della città di Marigliano. Ricordo che quando ero parroco di Marigliano mi regalò un libro intitolato “A fest do paese”, che descriveva in versi dialettali la processione in onore del Santo Patrono, scritta dal fratello Mario. Lo stesso Preside, negli anni precedenti, aveva scritto un dramma sacro “Sebastiano e Diocleziano”.

Anche di fronte alla morte, Trifuoggi, come Pierro, sono sfiorati da lampi di inquietudine e pessimismo, ma hanno conservato la fede cattolica e il suo senso divino. Visitando il Preside, qualche giorno prima del suo transito, ho intravisto nel suo eloquio e nei suoi sentimenti la concezione della morte cristiana come serena e dolce quiete, come traspariva nei limpidi versi di una poesia di Albino Pierro: “io ti ho sentito, Cristo, mite, sereno, carico di morte, come il fresco pane che fu nel forno e odora sulla mensa”.

La sua vita fu radicata in una dimensione di pensosa spiritualità cattolica. Ricordo la sua frequenza quotidiana alla Mensa eucaristica e le sue accanite e pensose ricerche di studioso di letteratura religiosa di autori, che hanno attraversato tutte le epoche storiche: le due letture di Dante (Inferno IV e XIII), l’invocazione ardente di Ungaretti, la cristiana pietà di Quasimodo, la sofferta preghiera di Rebora, le fervorose invocazioni alla Vergine di Giuliotti e a Cristo di Papini, l’elegiaca certezza di Davide Turoldo, il vigore drammatico di Testori.

La religiosità rimane il sottofondo, che plasma la personalità del preside Trifuoggi, essa è ricchezza che attraversa la sua esistenza, che sostiene la sua vita familiare, che alimenta il suo impegno di educatore scolastico, sempre vigile a tendere i fili della comunione, che piantata nel Mistero di Cristo, lo apre alla sapienza intramontabile della Tradizione, che lo fa attento al mondo degli umili e, soprattutto, gli svela lo splendore del Bene e del Vero assoluto, che rende possibile il valore obbligante delle norme dell’etica, condizione immancabile per una educazione libera e costruttiva.

La libertà psicologica del soggetto deve essere aiutata a raggiungere la libertà etica, la “libertas maior”.

Franco Trifuoggi è stato un punto di riferimento autorevole come uomo di cultura e maestro di vita, capace di ricomporre tante identità di giovani, spesso ferite e frammentate. La sua vasta cultura letteraria, artistica, ma soprattutto la sua statura umana e spirituale, lo hanno posto come astro luminoso per tanti giovani e valenti professionisti. Al Liceo scientifico di Marigliano, la sua persona si è effusa “quasi torrente che alta vena preme” (Paradiso 12,99), diffondendo la sua passione di verità e di libertà.

Il professore Trifuoggi non ha mai pensato o detto: “Educo, perché sono già educato”. Non si è mai considerato un uomo arrivato: egli era sempre in continua ricerca, in una continua tensione verso la perfezione. Viveva sempre in una positiva e santa insoddisfazione. Per lui educare non è stato come dare forma ad una pietra, come fa l’artista scultore. Egli ha dato ai giovani, che ha incontrato il coraggio verso se stessi e li ha aiutati a conquistare la propria libertà e questo lo ha fatto soprattutto, con la testimonianza della vita. Come credente, poi, per il Preside Trifuoggi educare ha significato aiutare l’altra persona a trovare la strada verso Dio. Ha aiutato i giovani non solo ad avere le carte in regola per affermarsi nella vita, ma a raggiungere la verità ultima di essere Figli di Dio, la piena maturità in Cristo. Lo ha fatto, percorrendo egli per primo, con la sua famiglia, questa via. Egli ha trovato in Cristo, Verbo eterno fatto carne, la cifra dell’uomo. Per lui la cattedra e la vita si fusero, l’una con l’altra. Aperto e cordiale con tutti sul piano relazionale, egli fu intransigente sui principi. Sapeva però cogliere nei suoi interlocutori la più piccola anima di verità, i “logoi spermatikoi”, i semi di verità nascosti per ricondurli al Logos eterno, fatto uomo, di cui era innamorato.

Un uomo schivo, appartato, immune da “pose” sussiegose, nella sua persona umile ed aliena dal cercare i favori mediatico-pubblici, mentre la sua fede religiosa vissuta senza esteriorità e creativa si manifestava attraverso il filtro della devozione ingenua della gente.

Con il Preside Trifuoggi se n’è andata una parte di noi, suoi amici e colleghi: vorrei aggiungere se ne va una parte della “Vecchia Marigliano” sobria e pudica, legata ancora ad una tradizione di semplicità, di onestà, di attaccamento alla religione, a consuetudini, devozioni e riti conservati dalle pratiche degli avi e non toccati dalla peste del consumismo, dell’edonismo disperato, dell’avidità di Mammona senza scrupoli. Di quei valori, a noi cari, dei quali Tu caro Franco, rimani il simbolo amato e rimpianto da quanti hanno imparato da te la lezione imperitura del dovere, della cultura vissuta come missione, dell’amore trepido e solidale. Grazie Preside.

Giovanni Rinaldi
Vescovo emerito di Acerra

                                                                                                                      

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